Castellammare e il dilemma del candidato sindaco

In occasione delle prossime amministrative di giugno, dopo due anni di commissariamento del comune per infiltrazione mafiosa, si pone il consueto dilemma del candidato sindaco.

Da una parte anziani politici, affetti dal mantra musicale “come me non c’è nessuno”, che si ripropongono per l’ennesima volta credendo che i cittadini abbiano bisogno delle esperienze dei dinosauri per risollevare la città. E pensare che Gabriel Attal fa il primo ministro francese a soli 34 anni di età.

Dall’altra, c’è l’affannosa ricerca del personaggio di alto profilo, quasi introvabile, che poggia sull’idea che la salvezza della città possa dipendere solo da un uomo/donna eccezionale dotato di un curriculum di grande spessore.

In entrambi i casi si tratta di autocandidature o di proposte che vengono dall’alto dei partiti, magari accompagnate da un pugno di firme di persone appartenenti alla società civile.

Questa è la democrazia rappresentativa alla stabiese che in ogni caso, a due mesi dalle elezioni, ce la dobbiamo tenere così sennò niente sindaco ‘per bene’.

Nel frattempo, un giurista, proprio un mese fa fu invitato, forse tardivamente rispetto alla imminente scadenza elettorale, a parlare di ‘democrazia partecipativa’ e di ‘democrazia deliberativa’, due facce della stessa medaglia, che non sostituiscono quella rappresentativa ma che si configurano come cassette piene di attrezzi necessari a svolgere il mai esaurito lavoro di manutenzione della democrazia.

In effetti, di questo si tratta! Preferirei eleggere un sindaco, che vive e s’impegna per questa città, che consideri la partecipazione non come una procedura ma come un valore, e che sia soprattutto espressione di un gruppo di cittadini esteso (non cento) che ritengono che la partecipazione sia un bene da difendere e da diffondere in tutti gli ambiti.

La Chiesa Locale, per esempio, ci sta provando sotto il profilo culturale, etico ed educativo, partendo dal confronto nelle parrocchie ed invitando esperti; fa bene, ma questa consapevolezza cresce lentamente ed oggi non ha la forza sufficiente per proporre propri candidati.

Il problema è che questi treni passano ogni cinque anni e quelli che ci credono adesso, ma non sono pronti, probabilmente non ci saranno neanche più al prossimo appuntamento elettorale.

Per fortuna, partecipare attivamente alla vita pubblica non significa necessariamente presentarsi per le elezioni, ma semplicemente intervenire con assiduità in tutti quei contesti dove incrementare il dibattito sulle soluzioni ai problemi cittadini, rendendole migliori.

E questo per il momento è il mio augurio più grande a questa città che ogni cinque anni (anche molto meno) si sveglia sempre più disorientata da chi farsi rappresentare.

Pubblicato in L'accoglienza | Contrassegnato , , , | Lascia un commento

La partecipazione. Minaccia o opportunità per la democrazia rappresentativa?

In occasione degli auguri di Natale, tra il Vescovo Manenti e le persone impegnate in politica nei comuni della diocesi si è svolto un vivace incontro sui temi della democrazia. Alcune riflessioni a caldo…

Intanto, è notizia di questi giorni che la Commissione Europea ha approvato una Raccomandazione che esorta gli Stati membri ad adottare misure effettive per promuovere la partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni della società civile all’elaborazione delle politiche pubbliche. Lo scopo è quello di contribuire a rafforzare la resilienza democratica nell’Unione invitando a disporre un quadro politico o normativo ben definito per la partecipazione che specifichi gli obiettivi, le procedure e i soggetti interessati, e di destinare finanziamenti specifici all’attuazione del quadro di partecipazione a tutti i livelli di governo, anche sfruttando al meglio i fondi dell’Unione disponibili.

Anche la prossima Settimana Sociale nazionale dei cattolici, tutta dedicata alla partecipazione, “cuore della democrazia”, (Trieste 3-7 luglio), desidera coinvolgere e valorizzare la presenza e l’impegno di tante Buone Pratiche che esistono sul territorio nazionale, per favorire la partecipazione economica, sociale e politica di tutti i cittadini.

Infine, Senigallia, nell’anno ormai trascorso, prova a fare cultura e pratica della partecipazione con alcune iniziative, come quella del Parco che vogliamo, le attività informative sul Fiume finalizzate a costruire patti di collaborazione tra PA e cittadini, ed infine il Convegno nazionale di AIP2 dal titolo. “Quale partecipazione di fronte ai rischi naturali e ai cambiamenti climatici?” del marzo scorso

Ormai comincia a prendere vigore l’idea che le amministrazioni dovranno dedicare sempre più tempo a queste pratiche che investono i cittadini e le organizzazioni sociali portatori d’interesse compositi. Ne va della loro credibilità ed anche della loro rieleggibilità.

Premesso che la partecipazione ad una discussione, una decisione, una soluzione di un problema complesso che riguarda la propria città, oggi viene considerato un antidoto efficace per curare il senso di isolamento ed esclusione presente in larga parte della popolazione soprattutto giovanile – in sostanza la partecipazione strutturata e sistematica può favorire il risveglio di una comunità e contenere il dissenso civico. Tuttavia, ciò non sembra sia così semplice! La scala di Arnstein ci dà una mano quando stabilisce alcuni gradini dove la partecipazione può giocarsi a vario livello. Tolto il primo gradino (manipolare) che ha un sapore irritante per la comunità, cittadini e amministrazione possono concordare insieme quelle pratiche dove ci si ferma, da un lato, ad informare e consultare i cittadini su temi di una certa urgenza, dove le istituzioni pubbliche giocano un ruolo decisivo per la protezione e la sicurezza dei cittadini, il decoro e la mobilità urbana, la tassazione ed i servizi sociali sul territorio; dall’altro, quello di dare spazio alla voce dei cittadini, impegnandosi ad ascoltare, accogliere, e tenere in giusta considerazione i suggerimenti e le proposte. In sostanza, non tutto può essere oggetto di un processo partecipativo! Laddove ci siano le condizioni i cittadini vanno coinvolti ed ascoltati con delle regole d’ingaggio chiare e trasparenti.

Tuttavia c’è anche un’altra strada! Sono i cittadini che propongono dei percorsi partecipativi aventi come oggetto beni pubblici dismessi, abbandonati all’incuria e al vandalismo. E’ il caso recente del Parco che vogliamo, dove cittadini, scuole ed associazioni hanno indicato ai pubblici poteri un percorso per riqualificare e rilanciare il bosco urbano della Cesanella. E qui i casi potrebbero moltiplicarsi ma anche essere molto sfidanti per tutti. Ne sono un esempio i bilanci partecipativi oggi adottati da molti comuni italiani. Il Bilancio Partecipativo è uno strumento che consente ai cittadini di proporre delle idee per migliorare la città in alcune sue parti. Annualmente il comune stanzia dei fondi e le proposte più votate sono finanziate e realizzate. Ogni cittadino o associazione può proporre progetti in ambiti come l’Ambiente, la Cultura, lo Sport, la promozione e la coesione sociale, ecc.

Infine, una riflessione sulla delega comunale alla Partecipazione. Di solito, viene affidata ad un Assessore, che, tra i mille impegni, si deve occupare anche di partecipazione. Un comune moderno orientato alla partecipazione non dovrebbe prevedere una delega specifica perché sarebbe opportuno invece innestarla, ove possibile, all’interno di alcuni settori dell’amministrazione (ambiente, lavori pubblici, cultura e turismo, sport, mobilità). Inoltre, grazie ad idonei indicatori che certifichino la qualità dei processi partecipativi attivati, si possano anche facilmente valutare le sue performances.

Pubblicato in L'accoglienza | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento

“Il Parco che Vogliamo” è un processo di Placemaking

Il 23 novembre ha avuto luogo l’inaugurazione della seconda edizione del percorso We Care, presso l’Aula Magna dell’Istituto Corinaldesi Padovano di Senigallia. Il tema della giornata riguardava la partecipazione, la rigenerazione urbana e… il placemaking.

La filosofia del Placemaking deriva dall’attività condotta negli anni ’60 da Jane Jacobs e William H. Whyte, i quali avevano teorizzato la necessità di progettare le città americane per le persone e non solo per le auto o come shopping center. Il loro lavoro si focalizzava sulla necessità sociale e culturale di realizzare quartieri vivibili e spazi pubblici attraenti. A partire dal 1975 questo approccio è stato raccolto dall’Associazione newyorkese Project for Public Spaces (PPS) diffondendosi a livello internazionale e coinvolgendo oltre 3.000 comunità locali in 43 nazioni.

Il Placemaking parte da queste importanti considerazioni per arrivare a promuovere un’idea molto concreta: dal momento che ognuno di noi usufruisce di determinati luoghi per i più diversi motivi, e quindi li conosce in ogni loro sfaccettatura, ne consegue che ogni cittadino può diventare una risorsa utile nell’opera di pianificazione, progettazione e gestione di spazi pubblici di alta qualità.

Il parco che vorrei...

I veri esperti sono i cittadini, con il loro bagaglio di conoscenza diretta del luogo. La sua portata rivoluzionaria consiste appunto nel considerare di fondamentale importanza l’opinione degli abitanti di una determinata comunità con riferimento ai possibili miglioramenti che possono essere apportati in quegli spazi pubblici che gli stessi sono soliti frequentare, usando come punto di riferimento i loro bisogni, le mancanze lamentate e tutto quanto possa rendere (sempre attenendosi a tale opinione) un determinato posto il più confortevole possibile.

Bryant Park a New York

Non si tratterà allora di costruire semplici giardini o piazze o quant’altro di diverso, ma di rendere un quartiere o una città dei posti invitanti tramite una combinazione non casuale dei vari fattori, che sia di stimolo all’instaurazione di relazioni sociali al suo interno e in cui vengano svolte attività capaci di coinvolgere tutti, dal primo all’ultimo soggetto.

Per usare una metafora, il placemaking confeziona, per un preciso spazio pubblico, un vestito su misura, che asseconda le richieste degli abitanti di una data comunità, i quali hanno evidentemente una relazione particolare con quel determinato luogo perchè lì ci vivono o ci lavorano o, molto più semplicemente, perché lì ci passano il loro tempo libero. Cittadini che influenzano il processo decisionale: quale migliore esempio di sussidiarietà orizzontale?

Specchio di Viganella
Catacombe

In Italia ci sono alcuni casi esemplari. A Viganella, in provincia del Verbano-Cusio-Ossola, il sindaco ha progettato uno specchio in grado di riflettere i raggi del sole sulla piazza del suo paese altrimenti in ombra. Nel Rione Sanità di Napoli, don Antonio Loffredo ha trasformato la sacrestia della sua chiesa in una palestra dove i giovani del rione si allenano a tirare di boxe ed ha promosso un progetto per il recupero delle antiche catacombe cittadine. Quest’ultima attività genera un’attività economica, attrae turismo di qualità, ed è un’occasione di lavoro e riscatto per i giovani del quartiere. Al suo fianco ci sono appunto loro, quelli che don Loffredo raccoglie dalla strada per impegnarli col lavoro. Da qui l’idea di dare vita alle cooperative (La Paranza), che gestiscono le Catacombe di Napoli, ovvero i cimiteri sotterranei scavati nel tufo che, da bellezze sepolte e inutilizzate, sotto la “gestione” di padre Antonio sono passati da 6mila visitatori l’anno alla bellezza di 80mila, offrendo lavoro a centinaia di ragazzi. 

Il parco che vorrei...

A Senigallia, nel 2018 dopo un timido tentativo di introdurre tale pratica in una scuola della città con l’Urbanista Ippolito Lamedica, dobbiamo giungere alla primavera del 2022 con il processo partecipativo attivato sul Parco della Cesanella e denominato “Il parco che vogliamo”. Il percorso ha una visione ed una strategia. La visione è quella di favorire la coesione della comunità locale sulla riqualificazione di un bene comune come quello del Bosco urbano della Cesanella; e la strategia è quella di generare il senso di comunità attraverso il protagonismo dei cittadini che co-progettano e co-gestiscono gli spazi con le istituzioni partendo dai bisogni dei più piccoli a quelli degli adulti. Il processo, conclusa la fase contributiva di cittadini e scuole, è al momento a metà tra la progettazione preliminare ed alcune opere che saranno compiute entro il 2024.

Pubblicato in L'accoglienza, Progetti | Contrassegnato , , , , , | Lascia un commento

Il Welfare territoriale ha bisogno di una moneta complementare

La moneta complementare è una valuta senza corso legale, parallela all’euro, che circola in un preciso contesto spaziale e temporale tra un gruppo di soggetti aderenti volontariamente allo stesso circuito. La sua finalità è quella di fungere da mezzo di scambio per collegare le risorse inutilizzate con i bisogni insoddisfatti del territorio coinvolto.

La strategia fondamentale per la sopravvivenza di esperienze complementari ed alternative e quella di ‘mettersi in rete’. Infatti, la rete funge da struttura moltiplicatrice della potenzialità espressa dal rapporto bisogni\risorse di ciascun territorio.

Esempi. Se acquisto un vino locale o un barattolo di marmellata oppure una cena in un ristorante tipico, o noleggio una bicicletta o il servizio di una guida turistica, li posso pagare in euro, in moneta complementare oppure con tutte e due. Se il mio fornitore fa parte della rete degli scambi deciderà come farsi pagare. Naturalmente, la parte pagata in moneta complementare potrà essere utilizzata per fare acquisti da un altro fornitore sempre della stessa rete e così via.

Altri esempi. Vedersi valorizzati con una moneta complementare i propri oggetti vecchi (auto, vestiti, mobili, ecc.), oppure riconosciuti i propri comportamenti virtuosi per il bene comune (raccogliere rifiuti sulle spiagge, prendersi cura di un parco cittadino, far parte di una comunità energetica, fare car sharing per l’accompagnamento dei bambini a scuola o per andare a lavoro sono tutte modalità che solitamente faticano a trovare una veloce ed efficace espressione e che mettono in circolo “valore”.

La moneta complementare diventa pertanto uno strumento pratico con cui dar vita ad un sistema sociale di scambio che, a sua volta, diventa un modo per provare a costruire il tipo di relazioni sociali che vogliamo sul nostro territorio, nella nostra quotidianità. Essa offre la concreta possibilità di trovare le risposte ai nostri bisogni mettendo in pratica relazioni di scambio centrate sulla fiducia, la solidarietà e la non competizione, che sono poi le componenti fondamentali dell’economia civile.

Tutto questo è legale e riconosciuto dal diritto civile (leggi Baratto), tanto è vero che oggi nel mondo esistono diverse decine di monete di questo tipo (es. Sardex, Orospay) che sono nate grazie alla determinazione ed al convincimento di gruppi di cittadini ed imprese locali, intendendo dare così vigore al welfare aziendale (B2E) e di conseguenza alla salvaguardia ed allo sviluppo di specifici bacini territoriali (B2B e B2C).

Pubblicato in Eresie, Progetti | Contrassegnato , , , , , , , | Lascia un commento

Al lavoro ‘decente’ piace il Welfare Aziendale e Territoriale

Nel post precedente avevamo parlato delle caratteristiche di un ‘lavoro decente’ ed una di queste è il Welfare Aziendale (“benessere aziendale”). Si intende un insieme di benefit e prestazioni non monetarie erogate a favore dei dipendenti, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e il benessere dei lavoratori e dei loro familiari.

I benefit sono di due tipi:
I fringe benefit e i flexible benefit.
I primi di solito sono il telefono cellulare, il computer, i buoni pasto, l’automobile. Sono finalizzati allo svolgimento dell’attività lavorativa e sono parte integrante del reddito da lavoro e quindi tassati se superano i € 3000 (ultimo decreto).

I flexible benefit sono benefici flessibili, ossia beni o servizi che l’azienda decide di erogare al dipendente affiancandoli alla retribuzione. Finalizzati a migliorare il benessere personale e familiare possono tradursi in contributi sulle rette dei nidi, borse di studio, assicurazioni sanitarie, previdenza complementare, abbonamenti al trasporto pubblico, ecc. Generalmente il lavoratore può scegliere quelli che più si adattano alle sue esigenze, e, dal punto di vista fiscale, godono di un trattamento agevolato, in quanto non costituiscono parte del reddito da lavoro dipendente. Il datore di lavoro assegna alla generalità o a categorie determinate di dipendenti un budget di spesa (credito welfare), che ciascun dipendente può liberamente e in relazione ai propri bisogni opzionare nel ‘paniere di beni e servizi’.

Un progetto di welfare aziendale efficace significa quindi non solo migliorare la vita dei lavoratori, che in questo modo possono contribuire maggiormente al successo dell’azienda, ma è anche un’opportunità di sviluppo per gli esercizi locali che aderiscono al Progetto, alimentando in questo modo la crescita territoriale e la coesione sociale (welfare territoriale)

Due esempi similari di Welfare aziendale territoriale:
La rete dell’Unione Terre d’Argine avviata dalla Regione Emilia-Romagna. E’ una sperimentazione di servizi rivolti ai dipendenti di imprese del territorio e che coinvolge imprese profit, imprese sociali, sindacati, associazioni di volontariato. Vantaggi per i Dipendenti: Offre risparmi economici concreti su oltre 60 Servizi di Benessere/Cura/Parità di Genere. Vantaggi per le imprese aderenti: Offre opportunità alle imprese di mostrare azioni concrete di Responsabilità Sociale d’Impresa e di Welfare Aziendale con servizi che consentono di migliorare il benessere dei dipendenti, di supportare indirettamente le famiglie e di aiutare il territorio. https://www.retewelfareterredargine.it/

La rete del Welfare di Marca è un programma di welfare territoriale integrato, avviato nel 2021 dall’Unione intercomunale Le Terre della Marca Sènone. Vantaggi per i dipendenti: aumento del potere d’acquisto per i lavoratori e le loro famiglie; spendibilità dei buoni spesa WELFARE di Marca presso i fornitori di beni e servizi dei Comuni aderenti. Vantaggi per le aziende: Detassazione e decontribuzione per l’azienda; miglioramento del clima aziendale; maggiore attrattività per le sue risorse. Vantaggi per il territorio: opportunità di sviluppo per gli esercizi locali aderenti al Progetto con una conseguente crescita del territorio e della coesione sociale. https://www.welfaredimarca.it/ (vedi mappa delle aziende che hanno aderito)

Pubblicato in L'accoglienza, Progetti, Qualità nel Commercio, Self-Branding | Contrassegnato , , , , , , , , | Lascia un commento